Piranesi Giovanni Battista

Mogliano Veneto (?), 1720 - Roma, 1778

Rovine delle antiche fortificazioni del monte e della città di Cora

Inventario

Numero inventario: M-1400_408
Inventario storico di categoria: 1400/408
Nuovo inventario di categoria: 10993
Stampa corrispondente: S-CL2406_19069
Collocazione: Calcoteca

Autori

Incisore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)
Disegnatore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)

Soggetto

Titolo proprio: Rovine delle antiche fortificazioni del monte e della città di Cora
Serie: Antichità di Cora
Denominazione raccolta: Firmin Didot (Piranesi)

Oggetto

Definizione: matrice incisa

Cronologia

Datazione: 1763 (Sec. XVIII)

Dati tecnici

Materia e tecnica: Acquaforte su rame con interventi a bulino;
Misure: mm 398 x 564; spess. 1,7-2,3

Iscrizioni

Iscrizioni: Sulla pietra in alto a sinistra: 408
Nel cartiglio in basso a destra: Fig. III. Sezione del medesimo monte. A. Cuniculi per li quali gli assedia= / te accorrevano alle precinzioni. B. Rovine dè parapetti delle precinzioni. C. Emplecton o sia riempitura dell'opera incerta delle fortificazioni. / Piranesi diseg. ed incise
Nel cartiglio in basso a sinistra: Fig. II. Le stesse fortificazioni in piccolo per comprendere com'ell'eran dispo= / ste, cioè con tante precinzioni che abbracciavano lo scosceso del monte.

Osservazioni:

Osservazioni: “Chi è colui, un po' versato nella cognizione delle opere degli antichi, che subito non ravvisi, esser questa la costruttura ch'eglino chiamavano incerta?”. Con questa domanda Piranesi comincia la sua contestazione dell'opera del gesuita Giuseppe Rocco Volpi che nel Vetus Latium profanum del 1727 a proposito delle mura di Cori aveva ipotizzato che fossero state costruite dai Goti. Basandosi invece sulla lettura di Vitruvio e di Fabretti Piranesi ricollega le mura a quelle di Alba presso il lago Fucino e a quelle di Praeneste, tutte costruite secondo la tecnica propria dei villaggi del Lazio che Giambattista, sbagliando, riconduce all'Opus incertum vitruviano. La citazione dei paesi laziali traccia il percorso seguito negli anni compresi tra il 1761 e il 1765, periodo in cui Piranesi visita molti luoghi come appunto lui stesso scrive: il lago del Fucino, Albano, Castel Gandolfo, lungo una traiettoria che da una parte segue la via Appia e dalla parte opposta raggiunge i siti etruschi di Corneto (Tarquinia) e Chiusi che doveva conoscere già nel 1761 e che poi visitò nel 1765 (Bevilacqua 2008, p. 282). Questo per sostenere l'originalità del tipo di costruzione e per connotarla in relazione al metodo costruttivo tipico delle antiche città del Lazio; poi sempre nell'introduzione alle tavole cita polemicamente come riferimento quanto aveva già sostenuto: “nel Volume della Magnificenza e Architettura de' Romani alla pag. 192 e 193” riguardo ad Alba degli Equi che presentava appunto i resti di un antico tempio etrusco sopra un basamento costruito ad opus incertum; secondo Piranesi la stessa tecnica delle mura di Cori che invece sono in opera poligonale di I e II maniera (Viani in Palombi 2013, pp. 70-73).
La stampa è realizzata su due grandi matrici proprio per rendere visivamente il tipo di lavoro eseguito per realizzare le mura con le “smisuratissime pietre che la compongono”; qui Piranesi costruisce una delle sue più audaci vedute da sotto in su, in cui porta all'esasperazione l'angolo di visuale ripreso dal basso che aveva già sperimentato, con grande effetto rappresentativo, nelle vedute delle fondamenta del Mausoleo di Adriano e del Teatro di Marcello nelle Antichità Romane (Mariani 2014, catt. 208 e 234). Questo gli consente di sottolineare l'originalità e la perizia degli antichi costruttori del Lazio che avevano avuto a disposizione queste grandi pietre calcaree dalla natura stessa del suolo; e qui compare nuovamente la nota polemica a favore dell'architettura italica e la teoria della interdipendenza tra architettura e natura: “donde risulta quella connessione così perfetta, che, come dice Procopio della via Appia, le pietre non vi pajon poste dall'arte, ma generate dalla natura”. In quegli stessi anni infatti rappresenta con precisione il basolato della via Appia nella tavola del Sepolcro degli Orazi e Curiazi nella serie delle Antichità d'Albano (cat. 33). Eliminando tutte le superfetazioni medievali, come aveva fatto nelle tavole del Campo Marzio, Giambattista crea una veduta di fantasia in cui ritrae una parte delle mura in opera poligonale insieme alle sostruzioni dei terrazzamenti costruiti lungo la collina su cui sorge Cori, sostruzioni che riconnette erroneamente con la costruzione delle mura vere e proprie, mentre si tratta di muri interni realizzati per sostenere i dislivelli del terreno. Solo con gli studi di Lugli e poi di Brandizzi Vittucci (Roma 1968) si è potuto definire il percorso della cinta muraria. Questa errata interpretazione viene esemplificata in basso dove l'artista inserisce, col sistema tipico del trompe-l'oeil della carta srotolata e attaccata con le punte come su un tavolo da disegno, due immagini in cui descrive le sostruzioni interne, in opus incertum, interpretate come parte delle mura che “abbracciavano lo scosceso del monte” (fig. II); e una sezione del monte con i cunicoli (fig. III) interpretati come mezzo di difesa durante gli assedi, contrastando nell'introduzione quanto invece affermava Volpi che pensava a cisterne per la raccolta d'acqua (Spadea in Speciale 1979, p. 127). Le linee fortificate di Cori, invece, circondano la collina e sono in buona parte ancora conservate per circa due chilometri, anche se hanno subito nel corso dei secoli interventi di restauro e di adeguamento alle necessità dell'abitato. L'intera figurazione è quindi una sorta di rielaborazione delle mura reali, frutto dell'invenzione dell'artista veneziano che, non a caso, realizza l'immagine con due lastre di grande formato con lo scopo di enfatizzare la grandiosità dell'opera costruttiva che si fonde nel sito naturale fino a farne parte; non a caso inserisce piccole figure di ricercatori che creano un voluto contrasto con il gigantismo dei massi. Questo risultato viene raggiunto con l'uso di un'acquaforte molto contrastata ottenuta con diverse morsure e numerosi interventi a bulino nei segni già scavati per accentuare la matericità di ogni singola pietra, in contrapposizione al primo piano dove i blocchi ciclopici sono attraversati da una luce obliqua, costruita lungo la diagonale sinistra-destra nella stampa, a cui si contrappongono le figure che animano la scena per dare, appunto, la dimensione delle “smisuratissime pietre”. La matrice cat. 61 presenta, in alto al centro lungo il bordo, una piccola lacuna risarcita con ottone; un'altra lacuna è presente al centro, dove sono le due figure gesticolanti, e in basso, lungo il bordo inferiore del grande masso, le reintegrazioni sono visibili anche sul verso della lastra. La lastra è attraversata da un graffio che dal centro arriva al margine destro e che appare appena accennato sulla stampa della Calcografia, mentre nell'esemplare Corsini si notano due leggere linee nere. La matrice cat. 62 presenta una correzione nella scritta in basso sulla c di scosceso, correzione leggibile in tutte le stampe consultate e che quindi risale alla prima tiratura. Le lastre eseguite all'acquaforte, con diverse morsure, presentano numerosi ritocchi a bulino soprattutto nella parte centrale. I fogli tratti dalle due matrici spesso si trovano rilegati singolarmente; nella raccolta ASL Sarti risulta mancante il cat. 62.
Stampe corrispondenti alle matrici: CL 54441/14165 e CL 54442/14166.

Bibliografia

  • Petrucci, 1953, p. 266, nn. 407- 408, tavv. 1-1a  
  • Focillon, 1967, p. 319, 540
  • Wilton-Ely, 1994, p. 732, n. 674
  • Ficacci, 2000, p. 478, n. 593.
  • MISITI, Maria Cristina; SCALONI, Giovanna (ed.), Giambattista Piranesi: sognare il sogno impossibile, Istituto Centrale per la Grafica, Roma, 2022, libro multimedia.  

Condizione giuridica

Condizione giuridica: Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali
Provenienza: Acquisto

Compilazione

Compilatore: Ginevra Mariani
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