Piranesi Giovanni Battista

Mogliano Veneto (?), 1720 - Roma, 1778

Del Castello dell'Acqua Giulia. [Pianta, alzato e particolare dell'acquedotto]

Inventario

Numero inventario: M-1400_395
Inventario storico di categoria: 1400/395
Nuovo inventario di categoria: 10970
Stampa corrispondente: S-CL2404_19046
IVS2: CL54432_14156
Collocazione: Calcoteca

Autori

Incisore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)
Inventore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)

Soggetto

Titolo proprio: Del Castello dell'Acqua Giulia. [Pianta, alzato e particolare dell'acquedotto]
Serie: Le rovine del Castello dell'Acqua Giulia...
Denominazione raccolta: Firmin Didot (Piranesi)

Oggetto

Definizione: matrice incisa

Cronologia

Datazione: 1764 (Sec. XVIII)

Dati tecnici

Materia e tecnica: Acquaforte su rame con interventi a bulino;
Misure: mm 364 x 244; spess. 1,4-1,6

Iscrizioni

Iscrizioni: In alto a sinistra: Fig. I. / 395; a destra: Tav. I.
In basso al centro: DEL CASTELLO DELL'ACQVA GIVLIA
In basso a destra: Piranesi F.
Sul verso della matrice: ordito meccanico a fasce con profili di architravi, capitelli e basi di colonne.

Osservazioni:

Osservazioni: I romani costruivano lungo il percorso di un acquedotto uno o più serbatoi detti castella che avevano una capienza pari al fabbisogno giornaliero; i serbatoi terminali avevano anche delle “mostre”, talvolta monumentali, che svolgevano anche la funzione di fontana pubblica da cui i cittadini potevano attingere acqua potabile da impiegare per i diversi usi.
I “castelli” erano sostanzialmente delle fontane monumentali, o ninfei, non dissimili da quelle costruite a Roma in epoca barocca, categoria in cui possiamo far rientrare anche la celebre Fontana di Trevi, mostra dell'Aqua Virgo, che fu inaugurata nel 1762 da papa Clemente XIII, e quindi nella fase finale di costruzione quando la monografia piranesiana in esame fu pubblicata.
L'unico castello di epoca romana pervenutoci, seppur in forma di rudere, è quello dell'Esquilino, detto comunemente Trofei di Mario dalle due panoplie marmoree che lo decoravano, trasferite nel 1590 sulla balaustrata del Campidoglio. Il monumento è attualmente inserito nel quadrante settentrionale dei giardini di Piazza Vittorio Emanuele, accanto alla cosiddetta “Porta Magica”, o “Porta Alchemica”, per i simboli incisi legati alla filosofia esoterica, là collocata dopo la distruzione della secentesca villa Palombara durante i lavori ottocenteschi post-unitari.
Nel corso dei secoli il monumento è stato variamente identificato: come Castello dell'Acqua Marcia, dell'Acqua Giulia, o dell'Acqua Claudia e Aniene Nuovo. Piranesi, nell'esaminare le fonti letterarie pubblicate nelle differenti epoche, a cominciare da quella più antica di Frontino - da lui utilizzata anche per le incisioni precedenti relative al medesimo soggetto o ad altri acquedotti romani - fino a quella a lui più vicina, di Raffaele Fabretti, giunse alla convinta deduzione che i resti dell'Esquilino erano quelli del castello dell'Acqua Giulia. L'identificazione piranesiana è stata ritenuta corretta fino a quando, in tempi a noi prossimi, non sono state effettuate indagini di scavo e misurazioni altimetriche che hanno portato a dedurre con certezza che la fontana monumentale sull'Esquilino aveva funzione di mostra terminale, oltre che di castello di distribuzione, dell'acquedotto Claudio e dell'Anio Novus edificata dall'imperatore Alessandro Severo, come attestano alcune monete del 226 che la rappresentano (Catalini, Tedeschi Grisanti 1986, pp. 143-150; Pisani Sartorio, 2011, pp. 58-89).
Dal castellum principale, che era accanto a Porta Maggiore (rappresentato da Piranesi in un’incisione della serie delle Antichità Romane, cfr. Garacci in Mariani, 2014, cat. 27), l’acqua si divideva in più diramazioni e una di queste, attraverso le arcuazioni in parte ancora esistenti in via Filippo Turati, giungeva al castello secondario dell’Esquilino, il Nympheum Alexandri come viene citato dalle fonti, per portare acqua su quel colle e poi al Celio.
Secondo quanto emerso dai restauri effettuati negli anni Ottanta, accompagnati da alcuni saggi di scavo, sembra tuttavia che l’edificio in laterizio a noi pervenuto sia stato costruito su probabili resti di una precedente fontana di età augustea reimpiegando anche i Trofei di Mario di età domizianea provenienti da altro luogo non ancora identificato (cfr. cat. 23).
Piranesi decise di aprire la serie di illustrazioni che corredano il volume con una tavola tecnica. Egli rappresentò nella parte superiore, su una fittizia antica mappa srotolata, una “Porzione della Pianta di Roma del Nolli ove son situate le Rovine del Castello di cui si tratta”, si legge nella legenda a p. 13, ma in realtà egli tratteggiò una pianta diversa sebbene forse da questa derivante. L'incisore fornisce in tal modo, innanzitutto, l’ubicazione topografica del monumento oggetto di studio, contraddistinto nella mappa con la lettera A, posto alla biforcazione di due strade, la via Tiburtina (dalla quale poco dopo si dipartiva la Collatina Vetus) e la via Labicana e per questa ragione avente una pianta trapezoidale.
In basso, nella figura II, è incisa una “Elevazione ortografica delle Rovine dell’acquiìdotto”, come ebbe a definirla l'autore, un prospetto e una planimetria degli archi dell’acquedotto che, con le loro condutture, portavano l’acqua al ninfeo di Alessandro Severo. Sotto la planimetria, come è consuetudine e necessario nei disegni tecnici, è riportata la scala di rappresentazione indicata in palmi romani.
Le arcuazioni raffigurate sono quelle nella odierna via Filippo Turati, che alimentavano effettivamente il ninfeo dell'Esquilino e quindi furono identificate correttamente da Piranesi sebbene non facessero parte, come era sua convinzione, dell'acquedotto dell'Acqua Giulia.
Un dettaglio di uno degli archi è tratteggiato nella figura III, inserito nella composizione mediante l’artificio del trompe l’oeil, come se un foglio fosse stato sovrapposto tra le altre due immagini. Di esso si vede con chiarezza la particolare tessitura muraria, realizzata con mattoni e tufi, tecnica che troviamo descritta da Piranesi nel paragrafo XXIII e ulteriormente esplicitata nella tavola XI, dove è rappresentata una veduta prospettica delle stesse arcate dell'acquedotto.
La matrice non sembra mostrare alcun intervento del maestro, il quale deve averla lasciata eseguire ai suoi aiuti di bottega, facendo tradurre ai collaboratori i disegni preparatori da lui forniti.
Il rame presenta segni incisi quasi totalmente ad acquaforte, con pochi interventi a bulino individuabili soprattutto nella parte in cui è delineata la porzione della pianta di Roma. Sulla lastra si rilevano alcune correzioni eseguite con raschietto e brunitoio: nella zona ove sono le lettere QVI di ESQVILINO, relativamente alla figura I, e nel punto di imposta degli archi dell’acquedotto delineati nella figura II. Un segno di intervento con raschiatoio, per cancellare probabili segni errati, si nota nell’angolo inferiore sinistro del primo pilastro a destra rappresentato nella planimetria. In basso, al centro, si legge il titolo dell’incisione, uguale per tutte le tavole e coincidente con il soggetto cui è dedicato il volume.

Bibliografia

  • Petrucci, 1953, n. 395, tav. 1, p. 265  
  • Focillon, 1967, n. 401, p. 311
  • Wilton-Ely, 1994, n. 534, p. 587
  • Ficacci, 2000, n. 414, p. 343.
  • MISITI, Maria Cristina; SCALONI, Giovanna (ed.), Giambattista Piranesi: sognare il sogno impossibile, Istituto Centrale per la Grafica, Roma, 2022, libro multimedia.  

Condizione giuridica

Condizione giuridica: Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali
Provenienza: Acquisto

Compilazione

Compilatore: Giovanna Grumo
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