Piranesi Giovanni Battista

Mogliano Veneto (?), 1720 - Roma, 1778

Scenographia reliquiarum aedis quae Concordiae asseritur

Inventario

Numero inventario: M-1400_309b
Inventario storico di categoria: 1400/309b
Nuovo inventario di categoria: 10810
Stampa corrispondente: S-CL2399_18906
IVS2: CL 2399/18906
Collocazione: Calcoteca

Autori

Incisore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)
Disegnatore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)
Inventore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)

Soggetto

Titolo proprio: Scenographia reliquiarum aedis quae Concordiae asseritur
Serie: Della magnificenza ed architettura de' romani
Denominazione raccolta: Firmin Didot (Piranesi)

Oggetto

Definizione: matrice incisa

Cronologia

Datazione: 1761 ante (Sec. XVIII)

Dati tecnici

Materia e tecnica: Acquaforte su rame con interventi a bulino;
Misure: mm 386 x 241; spess. 1,8-2,0

Iscrizioni

Iscrizioni: In alto a sinistra: 309. b
Nel cartiglio a sinistra, in alto: Tab. XXII.; in basso: *Columnae tetrans. / A Triglyphi constituti contra medios tetrantes / columnarum. B Metopae aeque longae, ac / altae. C Triglyphus in extremis partibus / positus. D Metopa oblongior dimidia / latitudine triglyphi, quae notatur E.
Nel cartiglio a destra: A et B Intercolumnia aequalia denotant. / A vero et C inaequalia dimidia / latitudine triglyphi.
In basso: Scenographia reliquiarum aedis quae Concordiae asseritur, Agrigenti in Sicilia. / A. Frons Aedis. B Latus aedis. C D Triglyphi cum a fronte, tum a lateribus in angulis conlocati.
In basso a sinistra: Piranesi F.

Osservazioni:

Osservazioni: Le immagini del cosiddetto tempio della Concordia di Agrigento, edificato in stile dorico intorno al 440 a.C. (cfr. Blandi, 2000, p. 21), introducono sei tavole dedicate alla problematica del "conflitto angolare" dell'ordine dorico (catt. 53-58). Con tale termine, come noto, si identifica l'impossibilità di collocare i triglifi terminali del fregio agli angoli della trabeazione e al tempo stesso in asse con le sottostanti colonne, senza alterare le canoniche relazioni tra le parti del tempio. Nel corso della storia furono elaborate diverse soluzioni a questo problema: in epoca arcaica venne ampliata la misura dell'ultima metopa; in quella classica si ridusse la larghezza del fregio tramite la contrazione dell'ultimo (e a volte anche del penultimo) intercolunnio; nel periodo romano, invece, si preferì terminare il fregio con parte di una metopa, applicando la soluzione proposta da Vitruvio.
Piranesi imputa "la cagione, per cui (triglifi e metope) discordano dalle altre parti dell'ordine Dorico" (p. 21) alla loro natura non autentica rispetto al resto della costruzione. Afferma infatti, sulla scorta del padre gesuita Juan Bautista Villalpando (In Ezechielem explanationes, II, 1604), che tali elementi "non son propri, ma trasportativi" (p. 21) in modo arbitrario dalle decorazioni del tempio di Salomone, negando quindi ai Greci quella capacità di invenzione esaltata da Le Roy. Sempre in contrasto con l'architetto francese critica poi l'eccessiva altezza dei gradini di accesso ai templi, che rapporta a quelli più agevoli degli edifici romani ed etruschi, portando come esempio proprio il tempio di Agrigento (cfr. p. 34).
La riscoperta dei templi agrigentini era stata veicolata dalle Antichità siciliane del padre teatino Giuseppe Pancrazi, edite a Napoli in due volumi tra il 1751 e 1752. L'opera del cortonese Pancrazi, socio dell'Accademia Etrusca e amico di alcuni dei maggiori eruditi del tempo (i fratelli Venuti, Anton Francesco Gori, Francesco Bianchini, Giovan Gaetano Bottari), rappresenta il primo tentativo di analisi sistematica dei monumenti agrigentini (cfr. Bevilacqua, 2009, pp. 73-109), motivo per cui negli anni successivi alla pubblicazione ebbe una buona diffusione tra gli studiosi di antichità greche di tutto il continente. La sua fortuna tuttavia fu stroncata a partire dal saggio di Winckelmann del 1759 Osservazioni sull'architettura dell'antico tempio di Girgenti in Sicilia (cfr. Winckelmann, 1784, III, pp. 107-128), in cui lo studioso tedesco criticava aspramente il criterio di indagine scientifica adottato dal cortonese. L'impianto testuale dell'opera, infatti, è ancora intriso della cultura antiquaria barocca, ma l'apparato figurativo si rivela piuttosto innovativo sia per la scrupolosità dei rilievi sia per l'impostazione grafica oggettiva delle tavole, eseguite senza alcuna inclinazione al "pittoresco" dall'incisore romano Salvatore Ettore (1702-1768).
Le scarne immagini del tempio della Concordia di Ettore furono sicuramente una fonte iconografica importante per la realizzazione di questa tavola, ma probabilmente Piranesi conosceva pure i disegni - oggi dispersi - dell'architetto scozzese Robert Mylne, eseguiti in occasione del viaggio in Sicilia nel 1757 con Richard Phelps e l'antiquario Matthew Nulty (cfr. Gotch, 1951, pp. 179-182).
La tavola, divisa in due parti, mostra nella zona superiore un finto cartiglio con due figure accostate che rappresentano la fronte di un tempio dorico, documentando le soluzioni adottate per correggere il conflitto angolare del fregio: la prima immagine (Fig. I) mette in evidenza il dilatarsi dell'ultima metopa mentre la seconda (Fig. II) la contrazione dell'ultimo intercolumnio. Secondo Alessandro Carlino (cfr. Carlino, 2010, p. 197), i due modelli proposti possono essere identificati rispettivamente con uno dei templi arcaici di Paestum (la prima raffigurazione a stampa del tempio pestano di Athena comparve nel 1758, sul frontespizio del trattato vitruviano curato dal marchese napoletano Berardo Galiani) e con il tempio della Concordia di Agrigento; a riprova di quest'ultima ipotesi lo stesso studioso fa notare che la tavola XII del secondo volume del Pancrazi riporta esclusivamente metà prospetto del tempio (la restante parte della tavola è dedicata alle sezioni; cfr. Pancrazi, 1752, II, tav. 12).
Nella parte inferiore della matrice in esame, invece, è raffigurata una veduta parziale del tempio agrigentino (Fig. III). Il disegno sembra derivare ancora una volta da un'incisione di Ettore (cfr. Pancrazi, 1752, II, tav. 13), tuttavia, rispetto alla veduta per intero di quest'ultimo, il monumento qui appare anche in controparte e con il punto di osservazione più lontano e rialzato. In confronto alla rappresentazione di Ettore, inoltre, la composizione piranesiana riprende i consueti espedienti figurativi già adottati nelle vedute delle Antichità Romane: la visione prospettica angolare (scelta per dare movimento all'immagine), i forti contrasti tonali, una pletora di figure intente alle rilevazioni architettoniche (con funzione di scala metrica per l'osservatore) e quel tipico gusto "pittoresco" dato dai rocchi di colonna e dalla vegetazione disseminata attorno al monumento. Infine, come osservato sempre da Carlino (cfr. Carlino, 2010, p. 198), Piranesi inserisce nella tavola la raffigurazione completa del triglifo d'angolo in primo piano (CD), che al tempo invece risultava parzialmente diruto, in modo da rendere più comprensibili le sue considerazioni in merito al conflitto angolare dell'ordine dorico greco (cfr. pp. 119-127).
Il linguaggio tecnico e stilistico adottato per realizzare la matrice, o quantomeno la veduta del tempio, mostra la maniera peculiare di Piranesi. La sensibilità tutta veneziana e il ductus dell'artista si ravvisano nel trattamento delle figure; nella vibratilità della trama segnica, che da fitta e continua si fa via via più diradata per tradurre i valori atmosferici e modulare i passaggi chiaroscurali (vedi la resa grafica delle nubi o i giochi di penombra sulle superfici lapidee); nel pittoricismo delle lumeggiature, ottenuto tramite sapienti pennellate di vernice di riserva (vedi in particolare l'effetto dei raggi solari che colpiscono le colonne all'interno del tempio); o ancora, nei puntuali interventi col bulino, che rafforzano il tono delle ombreggiature o vivacizzano il tracciato meccanico del cielo con lievi rientri nei segni incisi dall'acquaforte.
Come spesso riscontrato in questo genere di opere, sulla superficie del rame sono evidenti diverse abrasioni connesse alla correzione delle didascalie incise dai letteristi (vedi in particolare sotto la scritta Agrigenti in Sicilia). Si segnalano inoltre delle bruniture nella zona superiore sinistra della lastra, finalizzate a eliminare gli effetti antiestetici di tre piccoli graffi ancora parzialmente visibili. Questi ultimi interventi vanno riferiti alla campagna di "restauro" dei rami effettuata probabilmente prima della tiratura dell'editore francese Firmin Didot, in quanto sulle precedenti stampe tratte dalla matrice non se ne trova ancora traccia.

Bibliografia

  • Petrucci, 1953, n. 309b, tav. 22, p. 257  
  • Focillon, 1967, n. 951, p. 361
  • Wilton-Ely, 1994, n. 782, p. 850
  • Ficacci, 2000, n. 459, p. 375.
  • MISITI, Maria Cristina; SCALONI, Giovanna (ed.), Giambattista Piranesi: sognare il sogno impossibile, Istituto Centrale per la Grafica, Roma, 2022, libro multimedia.  

Condizione giuridica

Condizione giuridica: Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali
Provenienza: Acquisto

Compilazione

Compilatore: Ciro Salinitro
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