1762 (Sec. XVIII)
mm 457 x 599; spess. 1,2-2,1
Osservazioni:
Osservazioni: “...una gran Pianta icnografica dell'antica Roma...che fra poco darò alla luce”, così scrive Piranesi nella
Spiegazione della tavola degli acquedotti nelle
Antichità Romane, sottolineando l'imminenza della pubblicazione. L'icnografia era quindi pressoché finita nel 1757, data riportata nel medaglione della tavola di dedica, in alto a sinistra sulla stampa. Che la pianta fosse coeva alla pubblicazione delle
Antichità Romane lo testimoniano anche le lettere inviate da Robert Adam alla famiglia, tra il 1755 e il 1757, nelle quali l'architetto scozzese, che aveva affiancato Piranesi nella campagna di scavo nella zona del Campo Marzio (Wilton-Ely, 1978, p. 73), appare ansioso per l'uscita dell'opera che Giambattista aveva promesso di dedicargli (Fleming, 1962, p. 231). A confermare la datazione si è aggiunta la scoperta, nella rivista inglese
“The Monthly Review” del 1757, di un foglio in italiano, in cui si pubblicizzava l'uscita della pianta del Campo Marzio: “in sei fogli di carta massima, colla giunta di altri sei mezzi fogli parimente di carta massima che attornieranno la stessa Icnografia” (cfr. Pasquali, 2016, pp. 179-190). Allo stato attuale sono conservati in Calcoteca i sei rami che costituiscono la pianta, così come appare montata in tutte le edizioni consultate. Durante questa ricerca non si è infatti avuto riscontro di un esemplare che presenti la pianta contornata da altri sei mezzi fogli, anche se l'ipotesi avanzata da Pasquali di identificare le tre stampe con le assonometrie del Pantheon e dei teatri di Balbo, Marcello e Statilio Tauro, è molto interessante perché le dimensioni delle matrici sono compatibili con quelle della matrice dell'icnografia indicata dalla studiosa (cfr. catt. 149-151). Un altro dato significativo, da aggiungere a sostegno di questa ipotesi, è determinato dalla scelta di Frutaz di presentare la pianta icnografica insieme al frontespizio in italiano (cat. 97) e alla tavola con le tre assonometrie (Frutaz, 1962, vol. I, p. 81).
L'icnografia costituisce il centro intorno al quale ruota tutta l'opera de
Il Campo Marzio dell'Antica Roma, che l'incisore veneziano pubblica nel 1762, ma che era già pronta a giugno dell'anno precedente, data dell'
approbatio di Contuccio Contucci, il padre gesuita che nella prima metà degli anni Sessanta autorizzerà diverse altre opere di Piranesi.
Nella pianta, incisa su sei matrici, Piranesi vuole documentare la zona del Campo Marzio, la regione IX e VII tra il Tevere e i colli, che ha il suo più importante sviluppo urbanistico sotto Augusto. L'operazione ha lo stesso sapore dei suoi famosi
pastiche, confezionati in modo fantasioso, ma partendo sempre da reperti trovati durante lo scavo degli antichi edifici.
L'architetto veneto amplifica i confini reali del sito antico spingendoli più a nord, lungo il fiume Tevere fino a Ponte Milvio, come lui stesso scrive nei primi capitoli del testo introduttivo alle tavole, e in questo modo rappresenta sulla carta quella che era la sua idea del mondo classico.
L'opera è parte del lavoro di ricerca topografica e archeologica intrapreso nelle
Antichità con la pianta di Roma, a cui Piranesi aggiunge una parte nuova: la pianura “fuori della Porta del Popolo”, oltre l'Ustrino di Augusto, che nelle
Antichità (
Indice,
nn. 46-48
) aveva già collocato a ridosso del
Collis hortulorum .
La pianta del Campo Marzio è il frutto di un'indagine condotta sulle fonti antiche e moderne, ma è anche il risultato del suo lavoro di scavo intrapreso negli anni '50, e messo a punto nelle
Antichità, di cui
Il Campo Marzio doveva costituire probabilmente il quinto volume (Focillon, 1967, p. 95).
Nel testo introduttivo all'opera Piranesi spiega quale sia stato il criterio che ha seguito per redigere le piante del Campo Marzio e quali siano state le fonti consultate: prima di tutti nuovamente Strabone, ma poi Alessandro Donati, Fulvio Orsini e infine Flavio Biondo che estendeva il confine fino a “...Ponte Molle: ed io mi attengo al parere di questi.” (
Il Campo Marzio, p. 2), arrivando quindi a confutare le tesi sostenute da Famiano Nardini.
I precedenti iconografici sono la
Forma Urbis severiana, che l'incisore cita disegnando l'icnografia come una grande tavola marmorea appesa a un muro per mezzo di grosse staffe metalliche, ma soprattutto la pianta di Giovan Battista Nolli pubblicata nel 1748, a cui aveva collaborato dopo il suo arrivo a Roma nel 1740; il geometra comasco si era infatti impegnato a fare anche le rilevazioni di Roma antica.
Un punto centrale nella ricognizione topografica operata dall'incisore è rappresentato dalla pianta di Roma e dalla tavola degli acquedotti nel primo volume delle
Antichità, in cui il lavoro di verifica dei dati è dimostrato anche dalla presenza di numerose correzioni apportate sulle matrici, in particolare in corrispondenza delle porte nelle mura (cfr. Scaloni in Mariani, 2014, catt. 3, 69-70).
La perlustrazione della città continua ancora nel
Campo Marzio e si concluderà un decennio dopo con la grande
Pianta di Roma e Campo Marzio (
M-1400_683-685), dedicata a Clemente XIV e databile al 1774, in questa pianta gli indici fanno riferimento ai luoghi descritti nelle
Antichità, nella
Magnificenza e nello stesso
Campo Marzio.
L'intenso lavoro di ricerca sul territorio è ampiamente documentato dai disegni, come si desume dalle lettere inviate dai figli Francesco e Pietro alle autorità francesi per ottenere la restituzione dei beni confiscati dai napoletani, durante i saccheggi avvenuti dopo la caduta della repubblica Romana: “300 dessins des fouilles faites à Rome depuis 60 ans, qui devoient servir à fornir un plan de l'ancienne ville de Rome” (Montaiglon, Guiffrey, 1908, vol. XVII, pp. 275-276, n. 9844).
L'icnografia, pianta a proiezione verticale, icnografica e orografica, è orientata a nord come la pianta di Nolli, e come la pianta del 1756 (cfr. Scaloni in Mariani, 2014, cat. 3), ma ruotata di 45°, mentre curiosamente la piccola pianta orografica di tutta la città, inserita nella tavola con la dedica ad Adam, è posizionata perfettamente (Fagiolo, 1991). Altro dato particolare è che le tre tavole con la topografia del Campo Marzio (catt. 98, 101, 102), poste ad apertura dell'opera, sono invece orientate a sud.
La differenza più evidente con le
Antichità sta nell'impostazione meno fedele al dato reale. Piranesi nel disegnare la topografia della città antica vuole dare realtà alla sua idea di classicità immaginando i monumenti completamente liberi dal contesto architettonico contemporaneo: la “Roma moderna”; molto probabilmente aveva in mente anche le ricostruzioni ideali di Roma, tra queste l'
Antiquae Urbis imago di Pirro Ligorio del 1561, ma le carica di una forte accentuazione visionaria. Forse è proprio questo aspetto utopista a influenzare l'architetto russo Lev Vladimirovic Rudnev che nel 1943, in pieno clima sovietico, presenta un progetto per la sistemazione della piazza Rossa seguendo il modello dell'icnografia piranesiana (Rossi, 2016, p. 290, cat. 283).
Appunti autografi sul
Campo Marzio sono riportati nel taccuino B di Modena, note databili, secondo Bevilacqua, ai primi anni '50 (Bevilacqua, 2008, pp. 226-227). Rispetto ai precedenti iconografici Piranesi non si serve di una differenziazione grafica per indicare gli edifici ancora emergenti, e finisce col disegnare i monumenti sempre secondo la sua idea di architettura classica. Disegna una pianta di fantasia, in cui elabora il dato reale con le notizie desunte dalle fonti, arrivando ad amplificare lo spazio a est del Tevere, dove colloca il
Bustum Caesaris Augusti e i
Saepta Iulia (cat. 124), cancellando parte della via Lata, l'odierna via del Corso. La via Flaminia viene posizionata nel percorso della
Salaria Vetus (Ceen, 1990, p. 22, n. 11).
L'analisi condotta sulle sei lastre, che compongono la pianta, ha evidenziato un maggiore numero di abrasioni sulle matrici delle tavole VII e VIII (catt. 105-106), che corrispondono alla zona storicamente pertinente al Campo Marzio. In particolare si notano molte abrasioni e correzioni intorno al
Circus Flaminius, e tra questo e il
Mons Capitolinus. Così ancora nella zona a est tra l'anfiteatro di Statilio Tauro e l'acquedotto dell'Acqua Vergine, mentre quasi irrilevanti sono le correzioni sulle altre matrici, in particolare sulla
Tab. X (cat. 108), la zona del Campo che secondo Piranesi si estendeva fuori della Porta del Popolo fino a Ponte Molle, dove le due uniche correzioni sono dovute a probabili errori del letterista. Abrasioni sono presenti anche nella piccola pianta della città nel rame con la dedica ad Adam. Le correzioni visibili sulle matrici risultano in tutte le stampe consultate e quindi sono state apportate prima della tiratura definitiva degli esemplari.
Le matrici sono incise quasi per intero ad acquaforte con irrilevanti interventi a bulino.
La matrice cat. 105 presenta il verso inciso con profili di architravi e basi di colonne ricollegabili, secondo Monferini (1967, p. 266, n. 440), alla tavola XXXIV e XXXVII del quarto volume delle
Antichità (cfr. Mariani, 2014, catt. 237, 240) e alla tavola VI
Della Magnificenza ed Architettura de' Romani (cfr. cat. 34). Tali studi essendo stati incisi dopo la morsura del recto, pongono il problema della loro origine e, data la numerosa presenza sul verso delle matrici
Della Magnificenza e del
Campo Marzio, si può pensare che facciano parte di una modalità lavorativa propria della bottega di Piranesi (cfr. Salinitro in questo volume).
Stampa corrispondente alle matrici: CL 54447/14171.