1751-1756 (Sec. XVIII)
mm 400 x 529, spess. 1,6-2,0
Osservazioni:
Osservazioni: Giambattista Piranesi aveva inserito la rappresentazione del
Sepolcro della famiglia de' Scipioni già nelle
Antichità romane de' tempi della Repubblica, edite nel 1748 (Mariani 2010, cat. 60). L'immagine proposta su quella piccola tavola è difficilmente raffrontabile, però, con quella incisa in questa composizione, di dimensioni ben più ragguardevoli: è assente nella prima la sopraelevazione medievale ma, come sovente in Piranesi, il monumento potrebbe essere stato idealmente privato delle superfetazioni attribuibili a epoche successive; soprattutto, non si scorgono le grandi arcate intorno al corpo centrale dell'edificio, così evidenti in questa grande veduta.
Da registrare comunque l'interesse di Piranesi per il monumento, che erroneamente egli riteneva sepolcro degli Scipioni (come anche altri autori, cfr. cat. 106), comunemente indicato oggi come sepolcro di Priscilla.
Nelle stampe di prima edizione derivate da questa matrice (Corsini; BAV; ASL, 1691; ABA; Braidense) la didascalia ha un inizio diverso rispetto all'iscrizione presente sulla lastra incisa; compare infatti la scritta: “Veduta dell'Avanzo del Sepolcro de' Scipioni ...” . In corrispondenza di queste parole sulla matrice si può osservare un'abrasione, sopra la quale viene corretto il titolo in “VEDUTA di un Sepolcro creduto de' Scipioni”.
La correzione risulta per la prima volta documentata nella seconda edizione del 1784, curata da Francesco Piranesi (ASL, 14-D/2). La rettifica di quanto asserito sulla stampa di Giambattista Piranesi, laddove più cauti si erano mantenuti nell'identificazione dell'edificio sia Santi Bartoli che Ficoroni (cfr. cat. 106), fu eseguita con ogni probabilità sotto la responsabilità del figlio Francesco, il quale nel 1785 consegnava alle stampe un volume dal titolo
Monumenti degli Scipioni, pubblicati dal cavaliere Francesco Piranesi architetto Romano nell'anno 1785, con testo introduttivo e sei tavole illustrative (
M-1400_230-235), incentrato sulla scoperta del vero mausoleo della famiglia, avvenuta nel 1780.
Con esattezza, invece, il nostro architetto valutò la parte superiore del fabbricato (“Torricella”), che insiste sopra il corpo centrale dell'edificio, come appartenente al periodo medievale, quando il sepolcro fu utilizzato a mo' di fortezza.
Dopo aver rilevato nella tavola precedente le partizioni architettoniche che componevano il mausoleo all'origine, epurandole dagli interventi dei secoli successivi, in questa veduta Piranesi affronta il monumento come doveva apparire agli occhi dei moderni, con i caseggiati addossati e la campagna intorno.
La veduta è incisa secondo un procedimento che caratterizza e accomuna tutte le vedute piranesiane. La figurazione è risolta, nelle sue componenti generali, in un primo momento all'acquaforte; le morsure più prolungate sono quelle impiegate per raggiungere i toni scuri della quinta e del primo piano in basso a destra, dove si ravvisano su modeste porzioni di matrice alcune bruciature d'acido – ottenute dilatando i tempi del bagno in acquaforte - che l'autore sfrutta per conseguire neri intensi, mentre interviene su queste aree dove necessario, tracciando solchi profondi con il bulino, per ripristinare segni distinti tra loro. Successivamente, per ottimizzare i distacchi tonali dell'immagine, l'incisore è rientrato con il bulino nella trama segnica corrosa dall'acquaforte, approfondendola.
Su tutta la superficie della lastra incisa sono presenti diffusi ritocchi a bulino, piccoli segmenti variamente orientati, che definiscono i particolari e conferiscono alla veduta nel suo complesso vibrazioni chiaroscurali. Infine, si deve segnalare l'evidenza dell'impiego della vernice di riserva stesa col pennello sulle zone che si volevano risparmiare dall'attacco dell'acido, o comunque sottoporre a morsura breve, corrispondenti alle aree di massima luce nella composizione.
Si segnala un'abrasione sul margine sinistro in basso della matrice, dove compare un terrapieno sormontato da vegetazione: intervento quasi certamente mirato a eliminare segni incisi per creare un punto di luce utile all'equilibrio percettivo della rappresentazione.
Una veduta del sepolcro così detto degli Scipioni sarà riproposta nel volume
Les plus beaux monuments de Rome ancienne, curato da Jean Barbault e edito da Bouchard e Gravier nel 1761. Anche se l'incisione di Domenico Montagu si differenzia da questa di Piranesi perché il monumento è inquadrato da una maggiore distanza e con dettagli compositivi diversamente distribuiti, è però innegabile il riferimento del francese alla tipologia della “messinscena piranesiana”, come correttamente osservato da Lui (2006, p. 85) per altre tavole messe a confronto (sulla collaborazione di Barbault alle
Antichità e sulla vicinanza tra gli artisti e incisori dell'Accademia di Francia al Corso e Piranesi cfr. Oechslin 1976 e Lui 2006).