Piranesi Giovanni Battista (attribuito a)

Mogliano Veneto (?), 1720 - Roma, 1778

Iscrizioni delle Camere sepolcrali de' Liberti, e Servi, ec della Famiglia di Augusto

Inventario

Numero inventario: M-1400_145
Inventario storico di categoria: 1400/145
Nuovo inventario di categoria: 10617
Stampa corrispondente: S-CL2395_18732
IVS2: CL16113
Collocazione: Calcoteca

Autori

Incisore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)
Disegnatore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)
Inventore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)

Soggetto

Titolo proprio: Iscrizioni delle Camere sepolcrali de' Liberti, e Servi, ec della Famiglia di Augusto
Serie: Le antichità romane
Denominazione raccolta: Firmin Didot (Piranesi)

Oggetto

Definizione: matrice incisa

Cronologia

Datazione: 1750-1756 (Sec. XVIII)

Dati tecnici

Materia e tecnica: Acquaforte su rame con interventi a bulino;
Misure: mm 401 x 487, spess. 1,4-1,9

Iscrizioni

Iscrizioni: In alto a sinistra: XXXIII / 145; in alto a destra: Tom. III.
In basso: Iscrizioni delle Camere sepolcrali de' Liberti, e Servi, ec della Famiglia di Augusto

Osservazioni:

Osservazioni: La descrizione degli oggetti trovati nel colombario dei liberti di Livia Augusta (cfr. cat. 163), continua con la serie di epigrafi che identificavano i defunti, a cui Piranesi dedica sette tavole (catt. 173-179).
Si tratta delle lapidi sepolcrali, originariamente collocate sotto le nicchie allineate lungo le pareti interne, il cui repertorio epigrafico pervenutoci consta di 376 iscrizioni riferite a 670 individui (CIL, VI, 3916-4326). Le epigrafi sono databili a partire dagli ultimi anni del principato di Augusto, probabile periodo di fondazione del colombario, sino ai tempi di Nerone. Iscrizioni più tarde sono poi identificabili su altri reperti risalenti all’ultimo periodo delle inumazioni nel sepolcreto (III secolo d.C), come il cippo funerario intestato a C Cosconius Commodianus (CIL VI 4229) raffigurato nella tavola XXVIII (cat. 170).
L’importanza di questi documenti epigrafici, da cui si ricavano rilevanti notizie in merito alle mansioni della servitù imperiale, era già stata messa in luce al momento della scoperta del colombario da Francesco Bianchini e da Anton Francesco Gori, i quali nei loro volumi dedicati al monumento (Bianchini 1727; Gori 1727) avevano trascritto molte di queste epigrafi, indicando rispettivamente la presenza di 220 lapidi il primo e 304 il secondo (disparità dovuta all’inclusione da parte di Gori di alcune targhe derivanti dal vicino colombario dei liberti di Augusto). Pochi anni più tardi, tali manufatti furono dettagliatamente riprodotti da Pier Leone Ghezzi nel volume Camere sepolcrali de' liberti e liberte di Livia Augusta e d'altri Cesari, (1731, tav. XV-XXV, 1426/13-23), edito da Filippo De Rossi dopo la scoperta, nel 1728, di un’ulteriore stanza attigua alle precedenti.
Quest’ultima opera costituì per Piranesi il riferimento iconografico a cui attingere per la stesura delle tavole in esame. La loro composizione, infatti, mostra evidenti analogie con il metodo illustrativo adottato dal Ghezzi, rispetto al quale si registrano solo lievi variazioni.
A differenza delle tavole dell’artista romano, che presentano un’impaginazione verticale con tre file da dieci lapidi ciascuno, le incisioni di Piranesi si sviluppano orizzontalmente in modo da mostrare sino a quarantacinque epigrafi, suddivise in cinque file. Inoltre l’architetto veneto raffigura la sua serie di lapidi come se fossero incassate nella muratura, lasciandone intravedere i relativi riquadri nel caso di elementi frammentati o lacunosi. Tale espediente, attraverso il contrasto tonale che viene a crearsi tra il bianco delle targhe, lo sfondo fittamente inciso e il marcato chiaroscuro dei sottosquadri, contribuisce a movimentare la composizione e a conferirle maggiore tridimensionalità rispetto al suo prototipo. Ulteriore elemento di distinzione, infine, è lo sfondo della tavola, qui reso tramite un tracciato meccanico orizzontale che coincide con quello delle stesse lapidi, mentre in Ghezzi presenta un andamento diagonale intersecato dalle linee delle ombreggiature.
Identico, invece, è l’intento di riportare con precisione filologica sia l’iscrizione funebre - nel suo duplice aspetto letterario e grafico (vedi a esempio cat. 149,  in cui le lettere I di MATRI e T di ANTONIAE sono state abrase e reincise in formato più grande, probabilmente per rispettare la morfologia originaria dei caratteri) - sia lo stato materico della lastra. Una cura per i dettagli morfologici attestata nelle lastre piranesiane dal tracciato a puntasecca con cui sono stati improntati i caratteri alfabetici prima dell’incisione finale a bulino.
Dato il soggetto prettamente didascalico quanto ripetitivo di queste tavole, delineate servendosi ampiamente del tiralinee, è molto plausibile ritenere che le lastre siano state incise da collaboratori di bottega sotto la supervisione di Piranesi. Una prassi questa già ravvisata più in generale da Monferini (Monferini 1967, p.300), che trova riscontro anche nel caso delle tavole di Ghezzi, forse incise – come ipotizzato da Alida Moltedo (Moltedo 1997, p. 146) - da Giovanni Petroschi, indicato sul frontespizio dell’opera quale incisore di “tutti li caratteri”.
Le matrici risultano incise quasi interamente ad acquaforte, con lievi interventi a tecnica diretta funzionali ad accentuare l’effetto delle ombreggiature nei sottosquadri degli incassi e delle lapidi. In corrispondenza delle epigrafi si riscontrano inoltre numerose bruniture intorno alle lettere, finalizzate a cancellare le linee orizzontali tracciate a puntasecca come righe di riferimento. Questi interventi furono probabilmente eseguiti dopo il trasporto dei rami a Parigi nel 1799, contestualmente a localizzati ripristini dell’inciso degradato mediante abrasioni e ritocchi a bulino (vedi a esempio cat. 148, in corrispondenza del tracciato verticale sulla targa con la scritta BES/ONIANUS/DEC). Il termine post quem per la datazione dei restauri è indicato dalle stampe della seconda edizione (1784), che non presentano ancora le tracce degli interventi anzidetti, facilmente visibili invece nei corrispettivi esemplari dell’edizione Firmin Didot (1834-1838).

Bibliografia

  • Petrucci, 1953, n. 1440/145, tav. 33, p. 249  
  • Focillon, 1967, n. 315, p. 307
  • Wilton-Ely, 1994, n. 448, p. 501
  • Ficacci, 2000, n. 305, p. 272.
  • MISITI, Maria Cristina; SCALONI, Giovanna (ed.), Giambattista Piranesi: sognare il sogno impossibile, Istituto Centrale per la Grafica, Roma, 2022, libro multimedia.  

Condizione giuridica

Condizione giuridica: Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali
Provenienza: Acquisto

Compilazione

Compilatore: Ciro Salinitro
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