Piranesi Giovanni Battista

Mogliano Veneto (?), 1720 - Roma, 1778

Primo Frontespizio. Antichità d'Albano e di Castel Gandolfo

Inventario

Numero inventario: M-1400_456
Inventario storico di categoria: 1400/456
Nuovo inventario di categoria: 11073
Stampa corrispondente: S-CL2408_19134
IVS2: CL54462_14186
Collocazione: Calcoteca

Autori

Incisore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)
Disegnatore: Piranesi Giovanni Battista (1720/ 1778)

Soggetto

Titolo proprio: Primo Frontespizio. Antichità d'Albano e di Castel Gandolfo
Serie: Antichità d'Albano e di Castel Gandolfo
Denominazione raccolta: Firmin Didot (Piranesi)

Oggetto

Definizione: matrice incisa

Cronologia

Datazione: 1764 (Sec. XVIII)

Dati tecnici

Materia e tecnica: Acquaforte su rame con interventi a bulino;
Misure: mm 511 x 332 ; spess. 2,0-2,3

Iscrizioni

Iscrizioni: In alto a sinistra: 456
Nel frammento di cornice lapidea al centro: ANTICHITA'·D'ALBANO / E·DI·CASTEL·GANDOLFO / DESCRITTE·ED·INCISE / DA / GIOVAMBATISTA / PIRANESI
Sotto, nel cartiglio: La colonna A si vede in Albano, e tutti gli / altri frammenti nella villa Barberini a Castel / Gandolfo, ov'è anche l'olla B nella / vigna de' PP. / Gesuiti
In basso a destra: In Roma l'anno 1764

Osservazioni:

Osservazioni: Il volume dedicato alle Antichità d'Albano e di Castel Gandolfo fu edito da Giovanni Battista Piranesi nel 1764, anno in cui vide la luce anche quello che descrive Le Antichità di Cora. La data è incisa sul frontespizio che apre l'opera a stampa, in basso a destra, accompagnata dal luogo di edizione: In Roma l'anno 1764. Una cronologia, questa, che risulta confermata dal Catalogo delle opere incise risalente al 1763-64 dove, insieme alla nota manoscritta relativa al volume dell'Emissario con il numero delle tavole e il prezzo di vendita, si dà notizia che nel maggio 1764 sarebbero state pubblicate le Antichità di Cora e di Albano. L'annuncio fu puntualmente rispettato e nel successivo catalogo di vendita, datato agli anni 1764-65, nello stesso luogo in cui era inciso il titolo dell'Emissario si legge il titolo del nuovo volume sulle Antichità d'Albano e di Castel Gandolfo con 55 tavole, incluse anche quelle edite due anni prima relative all'Emissario e alle Spelonche, accompagnate dai rispettivi testi tipografici.
Il libro dedicato alle Antichità è costituito da 26 pagine di testo, 27 tavole numerate e due prive di numerazione (una stampata sotto la tav. VI e l'altra sotto alla tav. XXVI) per un totale di 31 matrici comprendendo i due frontespizi e la vignetta di testa, tutte conservate presso l'Istituto centrale per la grafica (M-1400_456-483).
Il primo frontespizio, in cui si vedono il titolo dell'opera e il nome dell'autore incisi su frammenti di marmo antichi, una finzione cui spesso ricorreva Piranesi, è seguito da un secondo grande frontespizio, che occupa due pagine a fronte, dedicato al pontefice Clemente XIII promotore del volume, il cui nome campeggia nel medaglione centrale. L'autore lo esplicita nella dedica tipografica, posta dopo la monumentale tavola dedicatoria, in cui si leggono le motivazioni che avevano spinto il papa a chiedere che venisse realizzata l'opera, alle quali segue la descrizione di come l'incisore aveva proceduto nell'eseguire quanto era stato chiesto dall'illustre committente. Durante un suo soggiorno nella residenza di Castel Gandolfo, papa Rezzonico recandosi a visitare, come il suo predecessore Pio II, le numerose vestigia sparse nella zona, riscontrò che queste erano ridotte in uno stato deplorevole a causa dell'ingiuria del tempo. Scrive Piranesi nella dedica che il pontefice, “… prevedendone la vicina mancanza, poiché con gli scritti del lodato eruditissimo suo Precessore n'era stata assicurata la memoria, ha voluto eziandio provvedere ai monumenti medesimi, con ordinare a me di ritrarne e le forme e gli aspetti.” Fu così che l'architetto veneto diede seguito alla richiesta papale visitando accuratamente detti monumenti e delineandoli nelle incisioni che illustrano il volume in esame. Egli pensava di compiere un'unica opera; soltanto dopo, come è possibile dedurre dal testo della dedica, decise di destinare all'emissario del lago Albano e alle due spelonche un libro a sé, data la loro notevole importanza storica. Resta tuttavia incomprensibile, in base alle attuali conoscenze, la ragione per cui, contrariamente a quanto preannunciato, la Descrizione dell'Emissario apparve prima delle Antichità e queste ultime furono pubblicate due anni dopo in un volume che comprendeva anche l'Emissario e le Due Spelonche, attuando in tal modo il progetto iniziale di lavoro unico. Piranesi potrebbe aver voluto dare la precedenza alla Descrizione dell'Emissario per poter intervenire ancora, dopo aver realizzato le due opere polemiche Della Magnificenza e Le rovine del Castello dell'Acqua Giulia, in merito alla controversia greco-romana che gli stava tanto a cuore.  La celebre querelle raggiunse infatti i toni più accesi nel periodo in cui apparve il libro sulle Antichità d'Albano, toccando l'apice poco dopo con le Osservazioni sopra la Lettre de M. Mariette del 1765, un volume con testi e incisioni tesi a confutare le argomentazioni del collezionista e conoscitore francese Pierre-Jean Mariette, che nell'anno precedente aveva pubblicato alcune lettere di critica nei confronti dei libri di argomento archeologico prodotti da Piranesi negli ultimi anni (cfr. Salinitro in Mariani 2017, catt. 73-88).
La vena polemica è presente anche nelle Antichità d'Albano e di Castel Gandolfo ma in misura minore. In quest'opera viene infatti dato maggior spazio all'aspetto storico-documentario dei monumenti rappresentati e descritti nel testo introduttivo dove, a differenza delle altre pubblicazioni, essendo le opere esaminate di diversa tipologia, manca un'unica e organica trattazione seguita dalla meticolosa spiegazione delle tavole. In questo caso a ciascun monumento è dedicato un paragrafo, dove è possibile leggere anche la descrizione della tavola illustrativa.
Il frontespizio qui in esame presenta un gruppo di frammenti lapidei poggiati ad un muro in laterizio, parzialmente in rovina, ispirato alle forme architettoniche rappresentate nelle tavole che seguono. Tra questi si individuano alcune parti di fusti di colonne scanalate, un'epigrafe latina, un lacerto di cornice che mostra il suo rovescio su cui si legge il titolo dell'opera e il nome dell'autore, un capitello corinzio poggiato su un bassorilievo che si intravede appena dietro il citato cornicione. In primo piano, su un simulato gruppo di fogli semiarrotolati posto dietro un rocchio di colonna, si legge il luogo in cui si conservavano le testimonianze archeologiche delineate nella composizione: la colonna A era ad Albano (manca la collocazione precisa) ma tutti gli altri reperti, provenienti da edifici romani distrutti, si conservavano nella villa Barberini a Castel Gandolfo facente parte della residenza pontificia suburbana dove furono visti, e in alcuni casi fotografati, dall'archeologo Henner von Hesberg nel 1979 (cfr. von Hesberg in Speciale, 1979, fig. 24a e 24b). Presso la vigna dei Gesuiti della stessa cittadina si trovava l'olla B che si vede accanto al capitello e da questo in parte nascosto, vaso che gli antichi romani usavano per cuocere e conservarvi cibi e monete ma soprattutto le ceneri dei defunti.
Anche l'epigrafe latina che si vede a destra, tra un confuso gruppo di frammenti lapidei e muri diruti, era conservata nella villa Barberini di Castel Gandolfo, come indicato nel cartiglio. In essa si legge: “M. ANTISTI M. F. FAB / M. ANTISTI M. F. F. / SATVRNINI / PRECILIA Q. F. TERTIA FECIT / SIBI VIRO FILIO LIBERTIS / LIBERTABUS[Q.] SV[A]E, trascrizione fedele di un'epigrafe funeraria della famiglia degli Antisti. La lapide parla di una certa Precilia che fece fare una tomba per suo marito, i suoi figli e i suoi liberti e fu ritrovata nel territorio albanense dove si ritiene, secondo quanto riferisce Lombardi, che la famiglia avesse una villa e un sepolcro presso quello della gens Arrunzio (Lombardi 1847, p. 147). Sono molti gli autori che riportano il testo di tale epigrafe, tra cui il gesuita Giuseppe Rocco Volpi la cui pubblicazione, Vetus Latium profanum et sacrum (Volpi 1736), fu per Piranesi un punto di riferimento costante per il suo studio dei monumenti antichi presenti nel territorio di Albano e di Castel Gandolfo. Un'altra ragione meno evidente potrebbe aver indotto Piranesi a scegliere di riprodurre proprio tale epigrafe: poiché alla gens degli Antisti, famiglia di origine romana trasferitasi poi ad Anzio, apparteneva anche Antistia, la prima moglie di Gneo Pompeo Magno, il potente militare romano che costruì ad Albano la sua celebre grandiosa villa.
Un frammento dello studio che Piranesi eseguì per questa matrice si conserva presso la Morgan Library di New York. Esso è eseguito con matita rossa su tracce di matita nera sul verso di un foglio che presenta sull'altro lato schizzi per una cornice e un cartiglio (cfr. Stampfle 1978, p. xxvii, n. 71). Il disegno pervenutoci in forma mutila mostra una parte del grande blocco di marmo con le sue modanature, alcune delle quali appena accennate, recante la scritta lacunosa vergata con lettere maiuscole relativa al titolo dell'opera e al nome dell'autore.
La matrice in rame, perfettamente conservata, risulta realizzata con una tecnica eseguita magistralmente dal maestro Piranesi e da eventuali suoi abili collaboratori. I segni, eseguiti con punte di dimensioni diverse, sono incisi ad acquaforte e, dove necessario, resi più larghi e più profondi dalle ripetute morsure dell'acido e dai numerosi rientri a bulino, creando in tal modo solchi molto profondi che danno luogo, sulla stampa, a neri molto intensi e vellutati. Lo stesso carattere si riscontra anche nelle altre lastre della stessa serie che saranno analizzate nelle schede seguenti. L'artista ha raggiunto ormai la sua piena maturità espressiva, grazie anche ad una ormai acquisita padronanza tecnica straordinaria dimostrata in precedenza nella rielaborazione delle Carceri eseguita pochi anni prima, nel 1761. E proprio alle Carceri della seconda edizione sono paragonabili le tavole della serie delle Antichità d'Albano, le vedute e soprattutto quelle che rappresentano gli ambienti sotterranei delle cisterne, con le quali hanno notevoli affinità stilistiche ed esecutive, come spesso rilevato dagli studiosi occupatisi dell'argomento.
In uno degli esemplari delle Antichità d'Albano conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (R.G. Arte Archeologia, S.407) e in quello della Biblioteca Corsiniana (vol. 52K20) il primo frontespizio qui esaminato è mancante. Ciò non pare dovuto ad asportazioni successive ma, piuttosto, al fatto che i due volumi sembrano essere i primi che furono realizzati, una sorta di prova di stampa prima che l'opera editoriale fosse messa in circolazione. Questo induce a pensare che inizialmente fosse prevista soltanto la tavola dedicatoria al pontefice cui doveva seguire, dopo la dedica tipografica, il testo con il titolo dell'opera sulla prima pagina al di sotto della vignetta. In tal modo si spiega la ragione per cui la matrice del frontespizio mostra la data 1764, ultima ad essere realizzata perché aggiunta poco prima dell'uscita del volume.
                                                                                                                                             

Bibliografia

  • Petrucci, 1953, p. 268, n. 457  
  • Focillon, 1967, p. 317, n. 506
  • Wilton-Ely, 1994, p. 696, n. 639
  • Ficacci, 2000, p. 453, n. 559.
  • MISITI, Maria Cristina; SCALONI, Giovanna (ed.), Giambattista Piranesi: sognare il sogno impossibile, Istituto Centrale per la Grafica, Roma, 2022, libro multimedia.  

Condizione giuridica

Condizione giuridica: Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali
Provenienza: Acquisto

Compilazione

Compilatore: Giovanna Grumo
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